Tutte le strade portano alla traduzione - Il percorso di un Traduttore Legale

Ogni volta che qualcuno mi chiede come sono diventato traduttore freelance, inspiro ed espiro a fondo. Non per il fastidio, ci mancherebbe, ma per prepararmi. E per sicurezza chiedo a chi me l’ha chiesto se ha tempo, perché non sarà una spiegazione breve e a tratti sembrerà stia descrivendo una partita di qualche astruso gioco da tavolo.

Nel 2013, laureato in Scienze politiche e sociali a Milano e nessuna esperienza all’estero, ho deciso di seguire il consiglio della mia allora relatrice, mollare tutto e andare nei Paesi Bassi, all’Università di Leida, per un master biennale in African Studies. “Tutto molto interessante, ma cosa c’entra con la traduzione?” C’entra.

Fino a questo punto della mia vita non avevo mai studiato altre lingue straniere al di fuori dell’inglese e, poco e male, lo spagnolo per un semestre a Milano. Eppure, il master richiedeva a tutti gli studenti di passare un semestre in un Paese africano a loro scelta. A marzo 2015 ero in partenza per un soggiorno di sei mesi a Maputo, Mozambico, per una ricerca sul campo finalizzata alla scrittura della mia tesi di master. Dal nulla ho dovuto imparare il portoghese per comunicare con la gente del posto e qualcosa mi è scattato in testa. Il mondo delle lingue mi andava proprio a genio.

Talmente tanto che, oltre alla mia ricerca, ho finito per ritagliarmi un, diciamo così, progetto parallelo a cui lavorare. Una ong locale, legata alla più grande università del Paese, aveva bisogno di qualcuno che parlasse portoghese e inglese, e mi sono presentato. Tra le cose di cui mi sono occupato, ammetto di aver lavorato anche come traduttore pur non essendo propriamente qualificato per la posizione. Lo so, mea culpa.

Nel 2016, tornato nei Paesi Bassi, ho ottenuto il master ma avevo già capito che la carriera accademica non faceva per me. Il tarlo della traduzione ricominciava a rodermi in testa. Non è stata una decisione facile ma alla fine ho capito che se avessi voluto fare questo mestiere mi sarebbe servita la qualifica giusta e io mi trovavo nel posto sbagliato. Dovevo rientrare in Italia.

Nel 2018 mi sono iscritto alla laurea magistrale francese (di fatto un master biennale) in traduzione presso la Civica Scuola Interpreti e Traduttori Altiero Spinelli di Milano, specializzazione in traduzione tecnica. Nella fattispecie, business law, cioè contrattualistica e diritto societario. Oltre all’inglese traduco anche dallo spagnolo e dal portoghese.

Non è stato affatto semplice imparare a masticare il “legalese”, imparare le formule corrette, o capire il linguaggio da utilizzare, con tutte le differenze del caso fra l’ordinamento legislativo nostrano, la cosiddetta Civil Law e l’ordinamento anglosassone, noto come Common Law, con le loro similitudini e gli inevitabili residui traduttivi, vale a dire quei concetti che dal Legal English non hanno una perfetta controparte in italiano, semplicemente perché si tratta di norme, o vere e proprie figure giuridiche che in Italia non esistono, quindi se devi tradurli o li lasci in inglese o li devi spiegare: un esempio è la figura del solicitor britannico, traducibile in “avvocato”, per la precisione “avvocato che svolge le attività relative al contenzioso solitamente senza prendere parte alle udienze”, questo perché alle udienze prende parte il barrister, che però in italiano si tradurrebbe comunque in “avvocato”. Capito il problema?

Per non parlare delle tonnellate di false friends, sia per i termini sia per le formule... Come bankruptcy che non è “bancarotta” ma “liquidazione giudiziale”, o entire agreement che non è traducibile con “accordo intero” (calco traduttivo inguardabile) bensì “clausola di completezza”. Le insidie per chi traduce questo tipo di testi sono tantissime. Sarà forse per evadere un po’ dalla rigidezza del legalese che ho deciso di tenermi il marketing come secondo ambito di specializzazione, ultimamente mi occupo soprattutto di apparecchiature foto e video.

In summa, il mio non è stato un percorso facile e tantomeno lineare e so che sarà un cliché ma a volte è vero che la propria direzione la si trova quando si lascia il sentiero principale che si sta percorrendo per esplorare qualche sentiero secondario, meno battuto, o più semplicemente meno dritto. Anche a costo di ripartire dal “Via”.







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Michele Portatadino, traduttore freelance. Lingue di lavoro: inglese, spagnolo, portoghese > italiano Settori di competenza: diritto societario e contrattualistica (business law) e marketing

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